Caro Direttore
sovente, nella vita, siamo stati inclini a regalare fiducia a quanti si fossero proposti, anche solo esteriormente, con le migliori intenzioni.
E’ tempo di elezioni, di elezioni regionali. E puntualmente, come prevedibile, personalità del mondo politico approdano sulle nostre sponde e s‘impegnano ad infonderci ottimismo, cercando di puntualizzare che nulla sarebbe impossibile, che ogni ostacolo potrebbe essere superato, se solo fossimo più oculati nel designare la figura maggiormente idonea alla direzione dell’equipaggio. Ma, allora, perché tanto compiacimento, per le strade, di una necessaria e disperata astensione che, a detta di ciascuno, sarebbe in grado di sortire efficacia, orientando i riflettori su problematiche continuamente manipolate, ma mai rifinite, abbellite e decorate?
Se è vero che il popolo può concentrare in sé la tensione tenace ed impetuosa della rivoluzione ricorrendo a quella forza primordiale in grado di sbaragliare e scardinare le imponenti dighe dei soprusi e delle convenienze spicciole, è pur sempre vero che l’azione devastante della lotta alla “mafiocrazia” potrebbe peraltro confluire in contenitori assai più moderati, non per questo compromettenti o passivamente recepiti.
IL VOTO: STRUMENTO OPPORTUNO DI PARTECIPAZIONE AL “PRIMATO DEL BENE”, una responsabilità morale forse troppo poco praticata, anche – purtroppo – da parte di coloro i quali vanno sbandierando qualità etiche di “rivestimento”.
Il voto, certo, per “andare oltre il voto, per non delegare passivamente”, come giustamente asserito da Giuseppe La Francesca in un precedente articolo.
Andare a votare non rappresenta di sicuro la massima garanzia in tempi in cui “chi sta in montagna, non si cura delle zanzare delle pianure”, ma neanche un affermativo “gesto irresponsabile”, o una sorta di “ostracismo alla vivacità mentale”, o ancora una “perdita della conquista della democrazia”, come invece denunciato da Giuseppe Ferreri, pur comprendendo appieno le sue delusioni ed amarezze, che sono poi, del resto, anche le nostre. Ma….”TU NON CI SEI….”, disse don Ciccio a don Fabrizio Salina ne “Il Gattopardo”, “….ED IL MIO NO DIVENTA UN SI’”!
Se il “non voto” fosse un ‘no’ al sistema che ci vuole governare (ma non dovremmo forse noi essere il sistema?!); se esso rappresentasse davvero la tutela della dignità e dell’intelligenza del cittadino, quale suppositivo costrutto formale avremmo organizzato nella nostra mente, rispetto alla considerazione dello Stato, ed ora, nello specifico, della nostra comunità isolana?
Inservibile additare singoli personaggi politici nella responsabilità di un’isola sommersa qual ci appare la nostra Pantelleria o – perché no? – la materna Sicilia: sarebbe troppo conveniente alle nostre singole deficienze morali ed intellettuali!
Se tutti avessimo rincorso ed abbracciato con ardore la KALLIPOLIS, ossia la giustizia perfetta, secondo la tripartizione dell’anima umana in Platone, non sarebbero indubbiamente venute meno le virtù della sapienza, del coraggio e della giustizia. Ma la storia insegna. Non possiamo – e non dobbiamo – nascondere i nostri difetti di relazione con un sistema-fantasma che invece ci appartiene, accettando e ritenendo giuste certe ruberie, attribuendo obbligo di gratitudine a talune riconoscenze, convinti, in quanto privati per lungo tempo, di esercitare un diritto. Non è accettabile che si compiano delle battaglie “affinché tutto rimanga com’è”, facendo entrare in gioco il “machiavellismo incolto dei siciliani” e trasformandoci in “facce avide di questuanti raccomandati”.
E’ doveroso recuperare ogni energia dispersa, per venir fuori dallo stagno putrido nel quale ci siamo impantanati, dando dimora di prigione alla nostra stessa dignità e compromettendo il decollo dei sogni e delle aspettative ai nostri figli.
Non guardiamo solamente ciò che ai nostri occhi possa giustificare, perché segreto, l’agire illegale e la triste condotta di pura connivenza. Consideriamo invece il disagio politico attuale ed il voto ad esso correlato come qualcosa di più profondo, come volontà di superamento del “non fare” – disgraziatamente tipico di noi siciliani -, come diniego ed opposizione al nostro storico “desiderio di immobilità voluttuosa”. Lasciamo quindi spazio alle persone semi-deste: “SIAMO TROPPI, PERCHE’ NON VI SIANO DELLE ECCEZIONI”. E noi, con tutta sincerità, abbiamo fortemente bisogno delle capriole dei nostri giovani, pur consapevoli di quanti sogni ci siano stati rubati. Possiamo sempre risollevarci, per dare alla nostra terra naturale, terraferma compresa, la legittimità a lungo negata, ma non impossibile, in quanto dovuta.
Quando si è in tanti a sognare, non c’è sogno che non si possa realizzare.
Franca Zona
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