Noi abbiamo voluto approfondire la conoscenza di questo artista.
Allora, Alberto, a chi ti ispiri?
Agli anni Sessanta, gli anni della mia formazione. Avevo come riferimenti culturali la pittura di Guttuso e di Picasso. Frequentavo con grande interesse e sete di apprendimento quei convegni di pittori che si svolgevano annualmente a Capo D’Orlando nella residenza del pittore Lucio Piccolo, e dove si svolgevano delle estemporanee alle quali partecipavano tutti i nomi che allora costituivano il riferimento culturale, non soltanto mio evidentemente. Io ho assorbito da questa scuola e poi l’ho in qualche modo improiettata, per cui nel mio inconscio queste cose riemergono, ogni tanto riemerge anche Picasso.
Se dovessi dire una caratteristica tua personale che ti contraddistingue?
Guarda, io idealmente, mi sento un cantastorie. Sai quelli che giravano con i cartelloni, le vicende, le storie di Giuliano. Io non faccio i tabelloni dei cantastorie, ma dentro di me, anche la pittura può essere considerata come narrazione, oltre che come espressione di sentimenti attraverso il segno, attraverso il colore, attraverso l’espressione che riesco a dare in alcuni quadri.
Solitamente per te Pantelleria è l’isola delle vacanze. Perché quest’anno hai deciso di fare questa mostra?
Pantelleria non è solo l’isola delle vacanze perché ormai da parecchi anni la mia vita si divide fra Pantelleria, la Tunisia, e pochi mesi nella mia città, dove stavo più a lungo prima, che è Padova. A Caltagirone ho passato la mia giovinezza, poi sono stato a Palermo e poi per cinquant’anni a Padova. La mia vita però da parecchi anni oramai si suddivide in quasi sei mesi in estate a Pantelleria e tre quattro mesi in Tunisia, dove a partire dell’anno scorso ho stabilito dei rapporti anche culturali di una certa importanza nella città di Madhia. Ho conosciuto pittori, poeti, giornalisti, il direttore del centro culturale di Madhia. E’ uno scambio interessantissimo perché rivela un mondo che noi normalmente, pur avendolo vicinissimo, appena 70 chilometri dalle nostre coste, ignoriamo quasi totalmente, conosciamo pochissimo. Ecco perché questa mostra comincia proprio con dei quadri che hanno un riferimento alla Tunisia.
Cosa ti ispira di Pantelleria? Il paesaggio o i personaggi?
Io di Pantelleria potrei scrivere romanzi, perché devi sapere che la mia famiglia paterna viene dalla zona dell’Etna e quindi io da bambino avevo la familiarità con il paesaggio vulcanico etneo. Era una cosa che associavo alla figura del padre, della nonna, era qualcosa che mi apparteneva dal di dentro. Quando io sono arrivato per la prima volta a Pantelleria, negli anni Novanta, per me è stato un colpo. Ho rivisto le mie campagne dell’Etna come erano e come non sono più, ho visto come a Pantelleria la campagna con i suoi muretti e le sue vigne vengono conservati, e come purtroppo sull’Etna invece si va degradando, perché la città avanza, e avanza la speculazione. Per me è stata un’emozione fortissima, e poi questa emozione si è completata con la scoperta del dammuso. Io non conoscevo questa architettura fantastica, un’architettura spontanea dove l’architetto ed il fruitore coincidono. I vecchi dammusi li facevano l’intera famiglia e l’intero vicinato, che si riunivano tutti insieme per costruirlo. Io sono architetto e quando ho visto queste architetture in pietra a secco, ma fondate sulla volta, sull’arco, una architettura evolutissima che comporta conoscenze statiche notevoli, sono rimasto veramente colpito. E poi il mare di Pantelleria, io da piccolo andavo ad Acitrezza, andavo nella costa catanese rocciosa, ma Pantelleria è una Acitrezza moltiplicata per mille. E’ stato veramente un colpo di fulmine, quando sono arrivato per la prima volta a Pantelleria io ho detto “dovrò fare in modo di stare qui più a lungo”, e così è stato.
Nella foto: Alberto Fazio assieme al Sindaco Salvatore Gino Gabriele e al vicesindaco Angela Siragusa in occasione della donazione del quadro da parte dell’artista al Comune di Pantelleria.
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