Da una domanda sapientemente provocatoria, fatta dal direttore di Pantelleria Internet, Salvatore Gabriele, al dottor Roberto La Rocca durante la serata di archeologia al Castello, è scaturita un’interessante conversazione sulla storia del relitto di Scauri, ritrovato sul fondo del mare all’imboccatura del porto.
nNella premessa si era parlato di Pantelleria come isola al centro del Canale di Sicilia, ma anche dell’intero Mediterraneo, rispetto a tutti quei veicoli via mare che hanno potuto essere portatori di cultura. Pantelleria, infatti, ha sempre favorito i contatti e gli scambi commerciali e culturali con tutto il mondo esterno, ricoprendo il ruolo di un vero e proprio snodo marittimo a garanzia di una navigazione sicura. Le sue coste rappresentavano spesso un riparo sia dalle tempeste che dagli attacchi dei nemici.
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nEcco le dichiarazioni dell’archeologo Roberto La Rocca che ha curato la mostra dei reperti di archeologia subacquea allestita nelle sale del Castello.
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n“Va sottolineato che il 99% delle scoperte archeologiche non le fanno gli archeologi ma gli uomini di mare che vivono la zona – ha esordito La Rocca – e così è stato anche per il relitto di Scauri di cui si è avuta notizia grazie ad una segnalazione di Pietro Ferrandes fatta negli anni ’90. Si è quindi iniziato a lavorare soprattutto perchè Sebastiano Tusa ha puntato i pugni in Amministrazione e in poco tempo è nato l’antesignano dell’attuale Soprintendenza del Mare, cioè il Gruppo Archeologico Subacqueo che ha iniziato un insieme di attività di ricerca a livello di volontariato. Poi il Gruppo è cresciuto e si è istituzionalizzato. Abbiamo quindi estratto dal fondo del mare, ad una profondità di circa otto metri, una serie di materiali durante uno scavo durato ben 10 anni. Materiali che permettono di interpretare abbastanza approfonditamente la storia del relitto ritrovato, tanto che ne è nata una pubblicazione monografica completa ed organica, una delle poche in Italia (ce ne sono forse tre complete su relitti ritrovati nel bacino del Mediterraneo).”
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nLa ricostruzione non è stato un lavoro facile perchè non si tratta di un relitto come potrebbe risultare nell’immaginario collettivo, non si trattava cioè di una nave messa sul fondo con tutto lo scafo completo di ogni sua parte. Al contrario sono stati recuperati 32 pezzi di legno, di cui si è occupato personalmente l’archeologo La Rocca, e il cui restauro è stato terminato l’anno scorso. Sono state fatte indagini strumentali e datazioni radiometriche con l’utilizzo del carbonio 14. Non è stato facile identificare la provenienza del legno e l’armatore, ma si è fatto ed entro dicembre, cioè prima della fine dell’anno, i legni restaurati saranno di nuovo sull’isola. Diventeranno oggetto di musealizzazione nella seconda puntata dell’evento che il Comitato Pantelleria preziosa, con la Soprintendenza del Mare e l’Assessorato Regionale dei Beni Culturali, ha iniziato a Pantelleria nei mesi scorsi. Le accurate ricerche hanno permesso di definire alcuni aspetti della storia legata a questa nave mercantile di piccole dimensioni, databile alla prima metà del V secolo d.C.; è stato infatti definito che trasportava un carico di ceramica di produzione pantesca, la ormai famosa Pantelleria Ware.
nDi nuovo sollecitato da Salvatore Gabriele rispetto alla possibilità che questa nave trasportasse un’arma letale, come ipotizzato da Sebastiano Tusa, l’archeologo La Rocca si è “imbarcato” con entusiasmo in una spiegazione avvincente.
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n“Partendo dal presupposto che ogni archeologo si occupa di un aspetto specifico della ricerca, io mi sono occupato soprattutto dello scafo mentre della dinamica dell’affondamento e dei segnali all’interno della struttura se ne sono occupati gli archeologi Tusa ed Abelli. Ne sono scaturite due versioni di pari dignità, per le quali da un lato va considerata l’ampiezza di conoscenze di Sebastiano Tusa derivanti da trenta anni di esperienza e di studi e dall’altra la conoscenza più giovane di Abelli la cui teoria è più legata a elementi concreti del relitto.
nE’ noto che il carico fosse la ceramica da fuoco locale di cui però esistono vari tipi e di uno di questi abbiamo un esempio frammentario per altro esposto nella mostra. E’ il reperto più grande che abbiamo, dentro ci sono tracce di pece che, con mistura adeguata, poteva essere utilizzata per farne una sorta di bomba di fuoco che spinta verso il nemico era capace di distruggere una nave. Un ordigno denominato “fuoco greco”. In base a questi dati e al contesto storico possiamo avanzare l’ipotesi che potesse essere una nave che si stava camuffando da nave da trasporto ma che di fatto si preparava a fare guerra, considerato che in quel periodo la gente isolana arretrava verso l’interno del territorio per difendersi dalle invasioni nemiche che la intimorivano.”
nVerosimile e dignitosa è anche l’ipotesi avanzata dall’archeologo Leonardo Abelli, più canonica ed accademica per semplicità di conoscenze. Egli infatti parla della pece ritrovata nella ceramica come elemento utilizzato nelle normali manutenzioni delle imbarcazioni per calafatare lo scafo, così come nei relitti si ritrova spesso del piombo per fare delle riparazioni. Per quanto riguarda l’affondamento si ipotizza invece un ribaltamento e un incendio durante le attività di carico e scarico.
nIl pubblico ha ascoltato con estrema attenzione il racconto legato al relitto di Scauri che rappresenta una vera preziosità archeologica della nostra isola e che unitamente ai reperti ritrovati a Cala Levante, a Cala Tramontana e a Gadir potrebbero veramente essere oggetto di una musealizzazione che speriamo di vedere presto nelle sale del nostro bel Castello.
nEcco il link per visionare le foto di quanto esposto nella mostra che verrà presto riaperta per il piacere di panteschi e turisti:
nhttps://goo.gl/photos/4bqhJq35rFBJF4V5A
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nGiovanna Cornado Ferlucci
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nNella premessa si era parlato di Pantelleria come isola al centro del Canale di Sicilia, ma anche dell’intero Mediterraneo, rispetto a tutti quei veicoli via mare che hanno potuto essere portatori di cultura. Pantelleria, infatti, ha sempre favorito i contatti e gli scambi commerciali e culturali con tutto il mondo esterno, ricoprendo il ruolo di un vero e proprio snodo marittimo a garanzia di una navigazione sicura. Le sue coste rappresentavano spesso un riparo sia dalle tempeste che dagli attacchi dei nemici.
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nEcco le dichiarazioni dell’archeologo Roberto La Rocca che ha curato la mostra dei reperti di archeologia subacquea allestita nelle sale del Castello.
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n“Va sottolineato che il 99% delle scoperte archeologiche non le fanno gli archeologi ma gli uomini di mare che vivono la zona – ha esordito La Rocca – e così è stato anche per il relitto di Scauri di cui si è avuta notizia grazie ad una segnalazione di Pietro Ferrandes fatta negli anni ’90. Si è quindi iniziato a lavorare soprattutto perchè Sebastiano Tusa ha puntato i pugni in Amministrazione e in poco tempo è nato l’antesignano dell’attuale Soprintendenza del Mare, cioè il Gruppo Archeologico Subacqueo che ha iniziato un insieme di attività di ricerca a livello di volontariato. Poi il Gruppo è cresciuto e si è istituzionalizzato. Abbiamo quindi estratto dal fondo del mare, ad una profondità di circa otto metri, una serie di materiali durante uno scavo durato ben 10 anni. Materiali che permettono di interpretare abbastanza approfonditamente la storia del relitto ritrovato, tanto che ne è nata una pubblicazione monografica completa ed organica, una delle poche in Italia (ce ne sono forse tre complete su relitti ritrovati nel bacino del Mediterraneo).”
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nLa ricostruzione non è stato un lavoro facile perchè non si tratta di un relitto come potrebbe risultare nell’immaginario collettivo, non si trattava cioè di una nave messa sul fondo con tutto lo scafo completo di ogni sua parte. Al contrario sono stati recuperati 32 pezzi di legno, di cui si è occupato personalmente l’archeologo La Rocca, e il cui restauro è stato terminato l’anno scorso. Sono state fatte indagini strumentali e datazioni radiometriche con l’utilizzo del carbonio 14. Non è stato facile identificare la provenienza del legno e l’armatore, ma si è fatto ed entro dicembre, cioè prima della fine dell’anno, i legni restaurati saranno di nuovo sull’isola. Diventeranno oggetto di musealizzazione nella seconda puntata dell’evento che il Comitato Pantelleria preziosa, con la Soprintendenza del Mare e l’Assessorato Regionale dei Beni Culturali, ha iniziato a Pantelleria nei mesi scorsi. Le accurate ricerche hanno permesso di definire alcuni aspetti della storia legata a questa nave mercantile di piccole dimensioni, databile alla prima metà del V secolo d.C.; è stato infatti definito che trasportava un carico di ceramica di produzione pantesca, la ormai famosa Pantelleria Ware.
nDi nuovo sollecitato da Salvatore Gabriele rispetto alla possibilità che questa nave trasportasse un’arma letale, come ipotizzato da Sebastiano Tusa, l’archeologo La Rocca si è “imbarcato” con entusiasmo in una spiegazione avvincente.
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n“Partendo dal presupposto che ogni archeologo si occupa di un aspetto specifico della ricerca, io mi sono occupato soprattutto dello scafo mentre della dinamica dell’affondamento e dei segnali all’interno della struttura se ne sono occupati gli archeologi Tusa ed Abelli. Ne sono scaturite due versioni di pari dignità, per le quali da un lato va considerata l’ampiezza di conoscenze di Sebastiano Tusa derivanti da trenta anni di esperienza e di studi e dall’altra la conoscenza più giovane di Abelli la cui teoria è più legata a elementi concreti del relitto.
nE’ noto che il carico fosse la ceramica da fuoco locale di cui però esistono vari tipi e di uno di questi abbiamo un esempio frammentario per altro esposto nella mostra. E’ il reperto più grande che abbiamo, dentro ci sono tracce di pece che, con mistura adeguata, poteva essere utilizzata per farne una sorta di bomba di fuoco che spinta verso il nemico era capace di distruggere una nave. Un ordigno denominato “fuoco greco”. In base a questi dati e al contesto storico possiamo avanzare l’ipotesi che potesse essere una nave che si stava camuffando da nave da trasporto ma che di fatto si preparava a fare guerra, considerato che in quel periodo la gente isolana arretrava verso l’interno del territorio per difendersi dalle invasioni nemiche che la intimorivano.”
nVerosimile e dignitosa è anche l’ipotesi avanzata dall’archeologo Leonardo Abelli, più canonica ed accademica per semplicità di conoscenze. Egli infatti parla della pece ritrovata nella ceramica come elemento utilizzato nelle normali manutenzioni delle imbarcazioni per calafatare lo scafo, così come nei relitti si ritrova spesso del piombo per fare delle riparazioni. Per quanto riguarda l’affondamento si ipotizza invece un ribaltamento e un incendio durante le attività di carico e scarico.
nIl pubblico ha ascoltato con estrema attenzione il racconto legato al relitto di Scauri che rappresenta una vera preziosità archeologica della nostra isola e che unitamente ai reperti ritrovati a Cala Levante, a Cala Tramontana e a Gadir potrebbero veramente essere oggetto di una musealizzazione che speriamo di vedere presto nelle sale del nostro bel Castello.
nEcco il link per visionare le foto di quanto esposto nella mostra che verrà presto riaperta per il piacere di panteschi e turisti:
nhttps://goo.gl/photos/4bqhJq35rFBJF4V5A
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nGiovanna Cornado Ferlucci
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