Una miscellanea di dipinti esistenziali, l’ultimo impegno letterario di Antonio Valenza, “Tibi quod potui”, nel cui titolo un trasparente esordio per comprendere fino in fondo i contenuti poetici ad esso affidati.
n
nPer Catullo, Poeta lirico latino, liberamente tradotto, “Questo regalo che potei”; per Antonio Valenza, sensibile Cantore del nostro tempo, “A Te quel che ho potuto”, per rivelare, affettuosamente e nella maniera più confidenziale, la ricostruzione del proprio mondo sentimentale.
n
nVecchie e nuove storie delicatamente unite dai ricordi, che seguono, a tratti, il percorso nostalgico di quel che è stato: rimpianti, rimorsi, illusioni, lacrime, sorrisi, abbracci ma anche distacchi, e soprattutto oceanici abissi di parole taciturne pronte ad esporsi così come a nascondersi in quella brevità di versi che hanno saputo ricondurre la poetica dell’Autore al grande Maestro dell’Ermetismo, Salvatore Quasimodo, “quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto e alcuni versi in tasca”, sognando la propria terra ed il ritorno per fertilizzare l’anima inquieta con il paesaggio circostante delle origini mai placate. Il medesimo incedere di Antonio Valenza – come tra l’altro già tracciato da Camillo Viti nel 1985, in occasione della Raccolta poetica di “A Conti Fatti” del Poeta e scrittore isolano – quando, ricordando il desiderato ma illusorio ‘esilio’ della propria giovinezza, si va quasi subito consolando attraverso il richiamo poetico della sua Patria: “un grembo, una casa, una cena, un vestito, una scuola, un lavoro, un amore, una tomba, una vita”.
n
n Antonio Valenza, “figlio della sua terra, con i suoi silenzi, i suoi tremori, i suoi bagliori”, ancora Enzo Bruno in “Semidigitale”, successiva silloge poetica del ‘Professore della Vita’ che, con ‘limpidezza espressiva’ e ‘profonda emozione’, esprime ‘la verità e l’essenzialità dei suoi versi con un linguaggio mosso e nudo’.
n
n“Un vero e proprio excursus dallo spirito interrogativo e dalla scrittura mai dimessa, sempre energica, talora ostile ma compresente al discorso umano. Un vero e proprio lascito, una eredità viva e pulsante in cui la natura è l’interlocutore privilegiato”, asserisce Mattia Leombruno, Presidente della Fondazione Mario Luzi, Editore del “Tibi quod potui”; una sorta di rigenerazione dell’esistenza, attraverso la suddivisione ideale e reale nello stesso tempo di quest’opera che sovrabbonda di emozioni antiche e odierne, ben integrate e solidificate dal protagonismo della Vita, che sgorgano impetuosamente dall’istintivo e necessario brivido dell’Esistenza di un Uomo che, alle rare persone a cui ha saputo confidare la Voce densa del proprio Essere, non può che dimostrarsi eccezionale, nella forza e nella fragilità del suo sconfinato Mondo Interiore.
n
nFranca Zona
n
n
nPer Catullo, Poeta lirico latino, liberamente tradotto, “Questo regalo che potei”; per Antonio Valenza, sensibile Cantore del nostro tempo, “A Te quel che ho potuto”, per rivelare, affettuosamente e nella maniera più confidenziale, la ricostruzione del proprio mondo sentimentale.
n
nVecchie e nuove storie delicatamente unite dai ricordi, che seguono, a tratti, il percorso nostalgico di quel che è stato: rimpianti, rimorsi, illusioni, lacrime, sorrisi, abbracci ma anche distacchi, e soprattutto oceanici abissi di parole taciturne pronte ad esporsi così come a nascondersi in quella brevità di versi che hanno saputo ricondurre la poetica dell’Autore al grande Maestro dell’Ermetismo, Salvatore Quasimodo, “quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto e alcuni versi in tasca”, sognando la propria terra ed il ritorno per fertilizzare l’anima inquieta con il paesaggio circostante delle origini mai placate. Il medesimo incedere di Antonio Valenza – come tra l’altro già tracciato da Camillo Viti nel 1985, in occasione della Raccolta poetica di “A Conti Fatti” del Poeta e scrittore isolano – quando, ricordando il desiderato ma illusorio ‘esilio’ della propria giovinezza, si va quasi subito consolando attraverso il richiamo poetico della sua Patria: “un grembo, una casa, una cena, un vestito, una scuola, un lavoro, un amore, una tomba, una vita”.
n
n Antonio Valenza, “figlio della sua terra, con i suoi silenzi, i suoi tremori, i suoi bagliori”, ancora Enzo Bruno in “Semidigitale”, successiva silloge poetica del ‘Professore della Vita’ che, con ‘limpidezza espressiva’ e ‘profonda emozione’, esprime ‘la verità e l’essenzialità dei suoi versi con un linguaggio mosso e nudo’.
n
n“Un vero e proprio excursus dallo spirito interrogativo e dalla scrittura mai dimessa, sempre energica, talora ostile ma compresente al discorso umano. Un vero e proprio lascito, una eredità viva e pulsante in cui la natura è l’interlocutore privilegiato”, asserisce Mattia Leombruno, Presidente della Fondazione Mario Luzi, Editore del “Tibi quod potui”; una sorta di rigenerazione dell’esistenza, attraverso la suddivisione ideale e reale nello stesso tempo di quest’opera che sovrabbonda di emozioni antiche e odierne, ben integrate e solidificate dal protagonismo della Vita, che sgorgano impetuosamente dall’istintivo e necessario brivido dell’Esistenza di un Uomo che, alle rare persone a cui ha saputo confidare la Voce densa del proprio Essere, non può che dimostrarsi eccezionale, nella forza e nella fragilità del suo sconfinato Mondo Interiore.
n
nFranca Zona
n
Lascia un commento