Caro Direttore,
nel ricordo dell’amico Carmelo Gigante ho trovato un articolo di tredici anni fa, molto attuale, che si rifà ad un più vecchio articolo scritto ne Il Panteco. Il tema molto interessante e costantemente ripetuto un po da tutti (vedi ultima trasmissione su Linea blu) può essere da spunto per riflettere insieme ai tuoi lettori, se è giunto il momento di rendere la nostra isola un "modello di autosostenibilità energetica" dagli insostenibili idrocarburi (scusa il bisticcio di parole).
Buona lettura ed un caro saluto.
Arch. Giuseppe Sechi
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La legge è scritta su la pietra i peccati sono scritti su la sabbia un fiore di cappero oggi è finalmente spuntato su la lava nera della mia gola
Era ora, commenta Peppi Coppula, il personaggio eterno di questa terra, l’uomo che non ha mai perso la speranza, l’uomo che sa guardare lontano, intuire,le novità.
Sembra ieri, ma sono passati quasi trent’anni da quando, sul giornale locale, ebbi a scrivere di Energie alternative di Pantelleria. Roba di altri mondi per quei tempi – quasi attuale al giorno d’oggi.
Lo spunto del fiore di cappero che fiorisce sulla terra ossidiana lo prendo da un articolo comparso su questo giornale (L’opinione di Pantelleria) lo scorso mese, a firma Giuseppe Sechi.
Il problema dello sfruttamento geotermico in quest’isola non è nuovo. Già all’inizio dell’ottocento si parlava di sfruttare l’acqua termale per uso balneare, ma si è sempre sonnecchiato anzi scommetto che neppure oggi i panteschi conoscono i particolari di questa storia.
II problema non è nuovo, ma mai come oggi diventa conflitto di interessi molteplici: proprietari, Soprintendenza, Comune, provincia, Regione, associazioni ambientalistiche. Conflitti che lasciano le cose a un punto morto o si riuscirà, finalmente ora, a venirne a capo? Il problema è aperto.
Il linguaggio diventa politico, esistenziale, amletico.
Il pantesco, il Cossurese (alias Volatilis Strombazzantis) deve o no godere delle energie geotermiche che sono imprigionate sotto la sua isola o deve continuare a far finta di niente? La sua Esistenza deve essere immutabile, già segnata sin dal seno materno o va adeguata ai tempi che corrono? Quanto tempo deve ancora trascorrere perché sia possibile all’isolano conoscere il proprio destino?
E il futuro si può sintetizzare in una domanda: la pala di un mulino a vento deturpa il paesaggio più di un palo telefonico?
Nel cinquecentenario della scoperta delle Americhe, mi viene in mente una antica stampa raffigurante uno straccione di peruviano seduto su un lingotto aureo. Un’antica stampa che si commenta da sola.
Oggi il telefono è di moda, e non solo il telefono. Io mi sento spesso con molti amici panteschi. Si parla di tante cose … ma durante la conversazione c’è qualcosa, un leit-motiv che si ripete sempre uguale: che tempo fa? Il tempo, le previsioni meteo, il vento, sono quasi congeniti con la gente della mia terra. Il pantesco, come i personaggi dei racconti evangelici, conosce alla perfezione le previsioni meteo, ma ahimè continua a bere il vino vecchio della parabola di Luca. Non sa vedere oltre il proprio naso, saper scoprire il nuovo che viene, essere artefice del proprio destino.
Il fiore di cappero in questo senso è una vera novità, che auguro continui la sua battaglia nell’interesse dell’isola.
Un tempo, raccontava la vecchia, i bambini venivano al mondo con gli occhi chiusi e poi venivano avvolti in fasce per impedirne i movimenti. Oggi è diverso. I bambini nascono con gli occhi già aperti.
Per il tempo non ci sono limiti. E’ passata una generazione dalla pubblicazione di "Energie alternative" scritto sul vecchio Panteco.
Mi chiedo ora quante altre generazioni dovranno ancora passare per realizzare il sogno dei bagni "termali nell’albergo a cinque stelle, dell’Isola che c’è" ma che stenta a cambiare. A tenere il passo con l’evoluzione mutevole di questo nuovo secolo.
Carmelo Gigante
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