Caro Direttore,
in uno scenario politico pantesco multiforme a tal punto da sentire, con sofferenza, la disgregazione del nostro popolo, ritengo tuttavia indispensabile offrire le intenzioni di un gruppo che non intende vivere soltanto la breve stagione politica di un mutevole favore dell’opinione pubblica, ma che desidera profondamente produrre, mattone su mattone, una osmosi continua con la società: una viva fenomenologia in grado di dare senso alla particolarità del nostro momento storico, per non restare muti, soprattutto di fronte all’avvenire.
Sono Franca Zona, e partecipo con “Primavera Pantesca”, la lista di Salvatore Giglio, per una scelta ben ponderata, non certamente casuale. Rifiutata per molto tempo, testardamente, l’idea di operare nell’ambito politico, da me ritenuto “sporco” e “impraticabile” per via di erronee considerazioni generali aprioristiche, ho dato voce, nel mio inarrestabile silenzio, al protrarsi di una sofferenza interiore finalmente sfociata nel mare della consapevolezza, affrontando e sconfiggendo la resistente contraddizione in me radicata.
Mettendo da parte le mie competenze turistiche, soprattutto legate all’ esperienza di lavoro e ad un personale e naturale approccio antropologico, operando nel sociale e nella formazione scolastica, non avrei potuto continuare ad astenermi da certe responsabilità che abbracciano l’intera collettività: responsabilità che io ( come del resto il mio gruppo) sento, in primis, come obbligo morale, perché oggi so che la politica non deve essere intesa nel senso ordinario e dispregiativo del termine, ma come impegno costante per la risoluzione dei problemi comuni.
Una fondazione morale della politica che è andata via via rafforzandosi nell’incontro e nello scambio fino a prima inesplorato con persone che la pensano come me, che vogliono mettersi al servizio della comunità senza alcun tornaconto.
Abbiamo bisogno, oggi più che mai, di una politica sociale che ci renda uniti anche nel bisogno; che, pur nel disastro emergente, ci faccia guardare agli stessi obiettivi; che riponga, in una buia cantina, l’indifferenza e la mancanza di rispetto dilaganti che ci allontanano dalla natura stessa dell’isola, il cui excursus storico diventa chiara testimonianza contraddittoria di un’ “accoglienza” mancante anche all’interno della stessa cultura territoriale. Pantelleria è sempre stata, a partire dal V millennio a.C, meta e luogo condivisi per tutti i popoli che hanno navigato nel Mediterraneo. Sesioti, Fenici, Cartaginesi, Romani, Vandali, Bizantini; Arabi, Normanni, Svevi, Spagnoli e via dicendo sono stati portatori e diffusori delle culture più disparate, dimostrandoci una tolleranza ed un’empatia che oggi, purtroppo, tentennano, lasciandoci perplessi: plurimi esempi di grande civiltà, non solo storica, ma soprattutto civile, che, sempre oggi, non riusciamo a cogliere neanche attraverso la nostra specifica “etnia”. Cosa dire, allora, dell’insofferenza che nutriamo nei confronti del “diverso”, delle persone che, ormai effettivamente “stanziate” sulla nostra isola, vengono colpevolizzate e additate come coloro che ostacolano ogni minima possibilità di lavoro agli “autoctoni”? Se non siamo noi stessi in grado di guardare insieme al bene della comunità, come possiamo mai pensare di accogliere e mantenere nuove demografie? Un problema, questo, per nulla affrontato da parte di tanti, troppi: una soluzione che non va ricercata in dati falsati, ma nella mancanza di reddito derivante dalla privazione del lavoro, della produzione, del mercato, in un momento di crisi che rende più povero il povero e più ricco il ricco. Una politica sociale, la nostra, che vuol essere, a tutti i costi, la possibilità di dare voce al mondo dei bisogni. Sappiamo bene, anche attraverso la divulgazione degli analoghi programmi elettorali, quali siano le emergenze scottanti sulla nostra isola: sanità, trasporti, turismo, ai quali naturalmente correlare la valorizzazione dell’ambiente attraverso una sana sensibilità ecologica, della terra e di quanto ne possa derivare; ma nascondiamo quasi con vergogna certe priorità antropologiche davvero conflittuali e devastanti, che sono però presenti nella nostra agenda amministrativa, per una vera politica di equità e di giustizia sociale, per la crescita umana e, nello stesso tempo, economica. Ne consegue, pertanto, la nostra volontà di non mantenerci sul formale, sul burocratico, ma sulla sostanzialità dei bisogni generali ed individuali della nostra terra; ne scaturisce il nostro distacco da certa freddezza “tecnologica” e tecnocratica, un confronto in campo aperto, anziché per divise e per eredità, in un momento così drammatico dove l’onestà non deve limitarsi a non rubare, poiché la moralità va oltre e la politica diventa dignità, sudore, coraggio.
Franca Zona (Primavera Pantesca).
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